I principi di riparto delle spese

Avv. Rodolfo Cusano, Il Condominio Nuovo


L’art. 1123 c.c. stabilisce che «le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.

Se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.

Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità».

La norma esprime il generale principio in forza del quale le spese relative alle parti comuni di un fabbricato in condominio vanno ripartite fra i condòmini in proporzione alle rispettive quote di proprietà.

La norma, tuttavia, a ben vedere, detta tre criteri per il riparto:

– il primo comma prevede il criterio della cd. utilizzazione generale;

– il secondo comma stabilisce invece il criterio dell’utilizzazione differenziata;

– il terzo comma, infine, prevede il criterio della utilizzazione separata.

Sulla base di tali criteri è possibile operare la seguente distinzione tra le diverse tipologie di spesa, in relazione a specifiche parti dell’edificio condominiale:

– spese di conservazione, manutenzione, godimento ed impianto di cose necessarie all’esistenza dell’edificio (fondamenta, suolo, muri maestri, tetto, lastrico solare). Esse gravano in proporzione alla quota di proprietà di ciascun condòmino. Ove si tratti di parti comuni destinate a servire soltanto alcuni dei condòmini (ad esempio un muro comune che sorregge un’insegna), la ripartizione viene operata in proporzione all’uso che ciascuno può farne;

– spese di conservazione, manutenzione, godimento ed impianto di parti dell’edificio necessarie all’uso comune. Relativamente alle parti che servono ugualmente tutti i piani, ciascun condòmino contribuisce in proporzione alla sua quota di proprietà, salvo che si tratti di opere o impianti destinati al servizio di una parte soltanto del fabbricato (le cui spese sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità) o che procurino utilità ad alcuni soltanto dei condòmini (si pensi, ad esempio, alle scale, che sono mantenute o ricostruite dai proprietari dei piani a cui servono);

– spese di conservazione, manutenzione, godimento ed impianto di locali ed opere destinati all’uso o al godimento comune o ai servizi in comune (es. portineria, pozzi, fognature). Trattandosi di spese relative a beni che normalmente servono in egual misura tutte le parti dell’edificio, al loro pagamento sono tenuti a concorrere tutti i condòmini in proporzione alle rispettive quote di proprietà; ove le opere siano destinate al servizio di una sola parte dell’edificio, le spese ad esse relative sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità; se, invece, servono in misura diseguale i diversi piani, la ripartizione è operata in proporzione all’uso che ciascuno può farne;

– spese di esercizio dei servizi comuni. Per queste ultime dovrebbe valere il principio delle spese di godimento, in virtù del quale chi può trarre beneficio dall’impianto comune e non ne approfitti o ne approfitti solo parzialmente, deve ugualmente contribuire alle spese in ragione di ciò che sarebbe in grado (se volesse) di ricavarne. Sulla base di queste considerazioni, parte della dottrina ritiene che il condòmino che rinunci al servizio di riscaldamento è ugualmente tenuto a contribuire alle spese di esercizio. Si è però obiettato, da parte di alcuni autori, che è necessario distinguere tra spese di esercizio o di godimento e spese di conservazione dell’impianto: le seconde gravano su tutti, mentre quelle di esercizio sono a carico dei soli condòmini che beneficiano del servizio e nella misura in cui ne beneficiano, sicché ne sarebbero esentati i rinunzianti.

Va infine affrontata la questione se i criteri di riparto stabiliti dall’art. 1123 c.c. possano essere derogati mediante accordi tra i condòmini. La risposta è senz’altro positiva, non rientrando l’articolo in esame tra quelli dichiarati inderogabili dall’art. 1138, ultimo comma, c.c., con la precisazione, tuttavia, che le deroghe possono essere deliberate solo dall’accordo unanime dei condòmini. Tale accordo può essere consacrato in un regolamento contrattuale ovvero essere oggetto di una delibera assembleare approvata all’unanimità. Sarebbe nulla (e come tale impugnabile senza limitazioni di tempo) la delibera che, in mancanza di accordo unanime, disponesse un criterio di ripartizione delle spese in base a criteri diversi da quello legale, mentre saranno semplicemente annullabili le delibere che in concreto ripartissero le spese in violazione dei criteri di ripartizione già stabiliti.


Articolo tratto dalla rubrica “Utilità” de “Il Condominio Nuovo”. Per leggere molti altri interessanti articoli collegati a: shop.ilcondominionuovo.it e abbonati alla rivista.

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