Il fondamento dell’art 2051 del codice civile.
L’art. 2051 del codice civile prevede un criterio di imputazione della responsabilità, basato sulla relazione di custodia che intercorre tra la «cosa» che ha cagionato il danno ed il soggetto – «custode»- che sarà chiamato a rispondere dello stesso avente l’obbligo di custodire la cosa.
Secondo una affermazione ormai ricorrente e consolidata, la responsabilità sancita dall’art. 2051 cod. civ., fondandosi su un rapporto eziologico fra la res e l’evento dannoso, nonché sulla esistenza di un effettivo potere-dovere di governo del custode, sorge come conseguenza della violazione dell’obbligo di vigilare e di mantenere sotto controllo la cosa, in modo da impedire il verificarsi di qualsiasi pregiudizio a carico di terzi Quindi, circa la natura della responsabilità, la giurisprudenza ravvisa – in maniera pressoché unanime – un fondamento colposo (Cass., 4.9.1974, n. 2412; Cass., 25.11.1988, n. 6340; Cass., 13.1.1956, n. 38; Cass., 21.11.1978, n. 5418).
In sintesi, il potere di custodia si sostanzia in tre elementi:
- Il potere di controllare la cosa;
- il potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa che in essa di è determinata;
- quello, infine, di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno (Cass. Civ., 27 marzo 2007, n. 7403).
L’art. 2051 applicato al Condominio degli edifici
La norma in commento trova frequente applicazione nell’ambito del diritto condominiale, laddove si tratti di stabilire e qualificare la responsabilità della compagine, ai fini risarcitori, nei confronti di terzi e/o degli stessi condòmini.
Va da sé che la fonte del danno deve potersi rinvenire da una cosiddetta “parte comune”.
Il condominio di un edificio, invero, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno; diversamente, questi risponde in base all’art. 2051 c.c. dei danni cagionati.
Sterminata e pacifica è la giurisprudenza che si è soffermata sul punto.
Per enfatizzare il rilievo del principio si è affermato che la responsabilità del Condominio ai sensi della citata norma si rinviene anche per i danni cagionati alle porzioni di proprietà esclusiva imputabili a vizi edificatori dello stabile (ex multis,Cass. Civ. 20 agosto 2003, n. 12211).
Si è infatti argomentato che i difetti originari dell’immobile non possono equipararsi al caso fortuito, che costituisce l’unica causa di esonero del custode dalla responsabilità ex art. 2051 c.c.. In altri termini, qualora la situazione dannosa sia potenzialmente produttiva di ulteriori danni, il condominio può essere obbligato a rimuovere le cause del danno stesso.
L’incendio e le prime applicazioni giurisprudenziali
I danni da incendio possono dirsi prevalentemente legati alla responsabilità del custode in quanto si è sempre ricondotto la fattispecie in parola all’archetipo della responsabilità del custode, ma pur nonostante, la casistica giurisprudenziale ha dovuto confrontarsi con numerosi risvolti problematici (Tribunale. Milano con sentenza dell’11 agosto 1997 relativa all’ipotesi di incendio sviluppatosi nell’ambito di un edificio condominiale privo di servizio di portierato).
Proprio per tali ragioni la casistica giurisprudenziale ha dovuto confrontarsi con numerosi risvolti problematici in quanto sin dai primi anni di applicazione del codice, ad esempio, il caso di incendio ha rappresentato l’occasione per un confronto fra le diverse e spesso divergenti opinioni. Le ipotesi in cui è stato applicato l’art. 2051 cod. civ. abbracciano una casistica alquanto varia.
In merito alla fattispecie dell’incendio sviluppatosi all’interno degli appartamenti condominiali la giurisprudenza di merito meno recente ha limitato l’applicazione della norma alle sole cose contraddistinte da un particolare rischio di incendio (App. Napoli, 23.8.1951; App. Bologna, 1°.8.1952; Trib. Cuneo, 26.9.1952. Nei casi di specie si trattava di materiale altamente infiammabile
Ai fini della norma, è sufficiente che il danneggiato provi che l’incendio si è sviluppato dalla cosa (App. Milano, 9.7.1974) mentre il custode è tenuto a rispondere anche quando l’evento è dovuto a cause rimaste ignote(Pret. Roma, 4.6.1959) Talvolta, però, è stata adottata una valutazione meno rigorosa della prova liberatoria: il custode è stato così liberato dalla responsabilità ex art. 2051 cod. civ., per aver dimostrato che il fatto produttivo dell’incendio non era attribuibile a sé o a persone di cui dovesse rispondere (Cass., 10.6.1961, n. 1343).
L’incendio e le recenti applicazioni giurisprudenziali in tema di esclusione della responsabilità condominiale
L’azione risarcitoria ai sensi dell’art. 2051 del codice civile esperita a seguito di un incendio sviluppatosi nel seminterrato di un condominio con effetti sulla sovrastante unità immobiliare, necessita di una prova rigorosa circa i presupposti afferenti le responsabilità, il nesso causale e i danni. (Tribunale Firenze, Sezione 2 civile Sentenza 3 febbraio 2014, n. 305)
Quanto al primo elemento, previa allegazione all’uopo consona, occorre escludere che la causa sia imputabile al “caso fortuito”.
Circa il nesso di causalità derivante dalla situazione pregiudizievole, deve, intanto, valutarsi lo stato dell’immobile, antecedentemente all’evento e le fonti dell’incendio.
Infine, per quanto attiene la richiesta risarcitoria, occorre valutare la sussistenza della prova sulla circostanza che lo sprigionamento dell’incendio sia stato in grado, effettivamente, di compromettere anche i beni di proprietà di parte attrice.
Un altro caso di rilievo, sul merito, è stato recentemente trattato dal Tribunale di Milano con la Sentenza 25 settembre 2013, n. 11793 è verte sulla ipotesi in cui l’incendio che si è propagato in condominio abbia tratto origine da un accessorio di una proprietà privata, quale deve considerarsi una canna fumaria.
Ed invero.
La canna fumaria, seppure ricavata nel vuoto di un muro comune, non è necessariamente di proprietà del condominio, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini qualora sia destinata a servire esclusivamente l’appartamento cui afferisce.
Detta destinazione, invero, costituisce titolo contrario alla presunzione legale di comunione del bene.
In circostanze siffatte, pertanto, il condominio non può essere chiamato a rispondere ex art. 2051 c.c. dei danni subiti dal proprietario di un’unità immobiliare a causa dell’incendio originato dalla canna fumaria predetta. Nella specie le verifiche eseguite dai tecnici hanno consentito di accertare che il materiale e la tipologia costruttiva della canna fumaria collegata al camino presso l’appartamento di uno solo dei condomini, escludono gli altri inquilini dal suo utilizzo, con la conseguenza che al bene non può riconoscersi la natura condominiale.
La non riconducibilità della canna fumaria tra le parti comuni dell’edificio, ex art. 1117 c.c., esclude la invocata responsabilità del condominio ex art. 2051 c.c. e, non avendo parte attrice invocato ulteriori profili di responsabilità, impone il rigetto della proposta domanda risarcitoria.
Altra fattispecie di responsabilità in caso di danni provocati da incendio. Responsabilità per attività pericolose (Art. 2050 c.c.)
Ove, nel condominio degli edifici, vi sia ubicato un immobile all’interno del quale vengono svolte “attività pericolose”, la responsabilità del condominio e/o del singolo proprietario per i danni provati a terzi rispetto la propagazione dell’incendio – che da essa abbia tratto origine – può essere scriminata in forza dell’art. 2050 c.c. “Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose”.
In tema di responsabilità per l’esercizio di attività pericolose va, invero, distinta la pericolosità della condotta dalla pericolosità dell’attività in sé considerata.
La prima riguarda un’attività normalmente innocua, che assume i caratteri della pericolosità a causa della condotta imprudente o negligente dell’operatore, ed è elemento costitutivo della responsabilità ex art. 2043 c.c..
La secondo riguarda, invece, un’attività che è potenzialmente dannosa di per sé per l’alta percentuale di danni che può provocare in ragione della sua natura o della natura dei mezzi adoperati ed è comprendente della responsabilità indicata dall’art. 2050 c.c. (ex pluribus, Cass. Civ. 21 ottobre 2005 n. 20357).
La pericolosità di un’attività va apprezzata, quindi, in relazione alla probabilità delle conseguenze dannose che possano derivarne se non si adottano le dovute cautele del caso (si pensi, ad esempio, alla frequente ipotesi del parcheggio di auto sotterraneo, posto al di sotto dell’edificio condominiale, da cui discende la necessità di adottare e di dotarsi, per consentirne l’uso, di acquisire preventivamente il certificato di prevenzione incendi).
Più partitamente, l’accertamento del nesso causale tra una condotta omissiva e l’evento di danno viene retto dagli artt. 40 e 41 c.p., i quali pongono una regola (quella dell’equivalenza causale temperata) pervasiva dell’intero ordinamento e quindi applicabile anche in tema di illecito civile (rispetto al quale la norma di cui all’art. 1223 c.c., per contro , disciplina un ben diverso nesso causale, e cioè tra evento lesivo e conseguenze dannose).
Sviluppi giurisprudenziali
A fine anni novanta il Tribunale di Milano con sentenza datata 11 agosto 1997 ha riconosciuto la responsabilità del condominio per i danni subiti dai condomini, sia con riferimento ai danni fisici, sia con riferimento ai danni alla porzione di fabbricato e al contenuto di questo, ed ha, pertanto, condannato il condominio al risarcimento di tali danni. Il principio accolto dal Tribunale di Milano è quello della responsabilità per i danni derivanti da cose in custodia, prevista all’art. 2051 c.c. I giudici meneghini con questa sentenza hanno confermato l’orientamento giurisprudenziale prevalente, nella parte in cui configura il comportamento del condominio come violazione dei doveri di custodia, che ha svolto un ruolo causale determinante rispetto ai danni subiti dai condomini, e riconosce la responsabilità del Condominio stesso per i danni derivanti dalla propagazione dell’incendio a causa, appunto, del carattere infiammabile del materiale di rivestimento.
La problematica inerente gi aspetti risarcitori derivante da un incendio sviluppatosi in un appartamento condominiale è anche approdato, negli ultimi anni in Corte di Cassazione.
Tra i tanti casi è interessante approfondire quello analizzato dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 9 ottobre 1996, n. 8818. Sa tratta di una causa avente ad oggetto un contratto preliminare di vendita di un appartamento sito in Milano, con consegna anticipata al promittente acquirente, all’interno del quale si sviluppa un incendio, da cui derivano danni agli appartamenti siti ai piani superiore ed inferiore. I proprietari di questi ultimi convengono in giudizio il promittente acquirente ed il promittente venditore, per ottenerne la condanna al risarcimento, ai sensi dell’art. 2051. I giudici di legittimità precisando, in primo luogo, che la temporanea detenzione della cosa da parte di persona diversa dal proprietario non elide la responsabilità di quest’ultimo, agli effetti di cui all’art. 2051 c.c.; esclude che la sussistenza del potere fisico sulla cosa cui inerisce il dovere di custodirla possa far capo, in linea di principio, a due soggetti che si trovino a titolo diverso in relazione con la cosa.
Il secondo caso esaminato dalla Cassazione (sentenza 20335/2004) affronta la tematica della causa ignota con riferimento alla responsabilità del custode. La vicenda esaminata è complessa in quanto, i comproprietari di un immobile al primo piano di una palazzina, subiscono danni in conseguenza di un incendio e, assumendo che le fiamme si siano sviluppate in un punto imprecisato al piano terra dell’edificio, convengono in giudizio il proprietario ed il conduttore del locale adibito a negozio sito al piano terra dell’edificio.
La peculiarità di questa sentenza emerge dalla possibilità che l’incendio si sia sviluppato per la presenza di sostanze e materiali infiammabili nel locale dal conduttore. Il quesito che si è posto la Corte è: a chi incombe l’onere della prova? sul danneggiato oppure spetta al conduttore? I giudici con la sentenza n 20335/2004, hanno affermato che la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. si configura a carico sia del proprietario che del conduttore, poiché nessuno dei due è stato in grado di dimostrare la causa autonoma del danno. Quindi, se è vero che sul danneggiato incombe l’onere di dimostrare il nesso eziologico fra la cosa danneggiata e l’evento, di contro, una volta dimostrato tale nesso, il custode non può sperare di evitare la condanna semplicemente allegando l’ipotesi di una causa estranea o deducendo che è rimasta ignota la causa ulteriore dell’evento, poiché tale onere probatorio, incentrandosi sull’individuazione della causa estranea assorbente il nesso causale, attiene alla dimostrazione del fortuito e, quindi, resta a carico del custode.
Avv. Dolce Rosario – Ivan Meo – ilcondominioweb