Il conduttore, al termine del contratto, paga i danni se non dà la prova liberatoria

Valerio Orlando (segretario ALAC regione Campania) “Il condominio Nuovo”


Locare un immobile è il sogno di molti italiani, che hanno fatto del mattone l’investimento principe da decenni. Vivere di rendita risulta piacevole fino a quando non sorgono le canoniche complicazioni in materia di locazione. Tra le varie la restituzione dell’immobile locato che può nascondere sempre delle sorprese.

Comunemente, il conduttore sottoscrive un contratto dove accetta le condizioni dell’immobile nello stato in cui si trova. Esse si presumono tali da consentirne l’utilizzo ai fini commerciali o abitativi cui deve essere destinato. Da questo momento in poi il conduttore deve eseguire sull’immobile la manutenzione ordinaria, così da salvaguardare l’integrità della struttura, lasciando l’onere delle attività straordinarie al proprietario. Le attività straordinarie spesso diventano oggetto di discussione. Si veda ad esempio la sostituzione dell’impianto di riscaldamento, che seppur di palese competenza del locatore, finisce per generare guerre infinite.

Ebbene la manutenzione ordinaria della struttura se nelle more della locazione può apparire secondaria, diventa fondamentale al suo termine. Difatti, l’art. 1590 c.c. stabilisce che il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità a quanto previsto nel contratto.

Però risulta poi difficile, a distanza di anni, ricordare perfettamente le condizioni ab origine dell’immobile, salvo che non sia stata fatta una perizia preventiva. Eppure anche questa manca il conduttore pare non avere vie di scampo nel caso la struttura sia stata alterata. Infatti è ritenuto sufficiente la dizione contrattuale che l’immobile sia stato consegnato in buone condizioni.

Recentemente si è occupato della questione la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 2619/2014 ha stabilito: “incombe al conduttore, ai sensi degli articoli 1590 e 1588 cod. civ., l’onere di dare piena prova liberatoria della non imputabilita’ a lui di ogni singolo danno riscontrato all’immobile locato al termine della locazione ed all’atto della riconsegna, presumendosi buono lo stato di quello all’inizio del rapporto ed esclusi solo i danni da normale deterioramento o consumo in rapporto all’uso dedotto in contratto, sicchè è’ erronea l’integrale reiezione della domanda di risarcimento dei danni stessi proposta dal locatore, ove manchi o sia incompleta la prova sull’imputabilita’ di quelli”.

Per tale motivo è come se sussistesse una presunzione di colpevolezza a carico del conduttore. In virtù della quale, fatti salvi i danni dovuti dal normale deterioramento dell’immobile, la non imputabilità degli altri dovrà essere dimostrata dal conduttore. Né quindi è sufficiente richiedere al proprietario la prova dello status quo ante alla locazione per potere dichiarare la propria innocenza.

Resta quindi valido il consiglio al conduttore di non firmare un contratto di locazione senza elencare analiticamente le condizioni dell’immobile nonché di denunciare prontamente al proprietario qualsivoglia sinistro occorso. Ciò al fine di dimostrare la propria mancanza di responsabilità alla fine rapporto. Si direbbe che mai come nel rapporto di locazione “scripta manent verba volant”.

Per decidere se un bene è comune oppure non occorre avere riferimento al regolamento di condominio.

Un edificio in condominio è costituito da parti in comune legate con un “nesso indissolubile” diceva il Terzago a parti esclusive. Ma, non sempre è facile individuare quali siano le parti in comune. Un aiuto ci viene dalla lettura dell’art. 1117 c.c. secondo l’ultima versione di cui alla novella della legge n. 220/2012. Tale norma pur elencando quali possono essere gli impianti e le strutture in comune non ha carattere esaustivo. Infatti, l’articolo 1117 c.c. non è inderogabile e le parti in comune ai proprietari dei singoli appartamenti possono essere infinite e variabili in base alla struttura stessa del condominio. Il più delle volte è però nel Regolamento di condominio che esse trovano la loro fonte e diciplina.

Il Regolamento di condominio contrattuale è la base da cui partire per l’individuazione delle parti. Di solito è predisposto dal costruttore ed allegato o richiamato nell’atto di vendita della prima unità immobiliare oppure votato all’unanimità in assemblea. Esso può legittimamente prevedere al suo interno delle riserve di proprietà ( lastrico solare, cortile, ecc) o/e l’imposizione di limiti all’utilizzo degli appartamenti (es. divieti di destinazione). Tali riserve di proprietà o limiti ai diritti dei condomini non possono invece essere previsti nel regolamento approvato a maggioranza dall’assemblea.

Tante volte può capitare in una riunione, sentire dire che non si sa se una determinata porzione del lastrico solare appartiene in via esclusiva a qualcuno ed a chi o piuttosto sentir esprimere dubbi intorno all’esistenza di un vincolo di destinazione di un appartamento.

I dubbi vengono meno nel momento in cui esiste un Regolamento contrattuale. Recentemente la sentenza della Cassazione n. 1947/2014 ha così disposto: “La presunzione legale di condominialita’ stabilita per i beni elencati nell’articolo 1117 cod. civ., la cui elencazione non e’ tassativa, deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il proprietario che ne rivendichi la proprieta’ esclusiva ha l’onere di dare la prova di tale diritto. A tal fine, e’ necessario un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono utilizzabili i dati catastali, utili solo come concorrenti elementi indiziari di valutazione a fornire la prova richiesta”.

Ecco allora come la Suprema Corte aggiunge un altro tassello alla ricerca della verità escludendo ogni possibilità di utilizzo dei riferimenti catastali come prova. Essa ci ricorda che i beni in comune possono essere molteplici e che pertanto bisogna guardare di volta in volta alla singola fattispecie per individuarle. Come ovviare ai dubbi interpretativi? Qualsivoglia rivendicazione di proprietà non può non partire che dal Regolamento interno, ovverosia dai titoli d’acquisto nei quali esso è contenuto o richiamato dai quali evincere inequivocabilmente la proprietà dei singoli beni presenti in condominio. L’atto a cui guardare è il primo atto di compravendita. Infatti è alla stipula dello stesso che la giurisprudenza fa discendere la nascita del condominio. Altri riferimenti quali quelli della denuncia catastale non inficiano il valore preminente del titolo di acquisto. Ricapitolando, nessun rilievo può avere l’eventuale accatastamento non conforme ai titoli di acquisto originari.

L’amministratore è legittimato a rimuovere gli abusi

La jungla del condominio nasconde al suo interno abusi di ogni genere, a volte molto pittoreschi. Chi non ha mai visto nascere dalla sera alla mattina una veranda sul terrazzo o una sopraelevazione sul lastrico solare? E’ dura per l’amministratore correre dietro gli abusi dei condomini, in particolare quelli edilizi, soprattutto quando per farli cessare non è sufficiente un’attività stragiudiziale.

Al riguardo l’art. 1117 quater c.c., in caso di violazione delle destinazioni d’uso, indica una precisa strada da seguire. Il predetto articolo, difatti, prevede che l’amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione.

Guardando attentamente l’art. 1117 quater c.c. si può evincere che l’amministratore è tenuto a convocare l’assemblea, che dovrà poi decidere se agire giudizialmente o meno contro il condomino che sta violando una destinazione d’uso.

Ad un primo esame sembrerebbe che l’art. 1117 quater c.c. si ponga in contrasto con l’art. 1131 co.1 c.c. in combinato disposto con l’art. 1130 co.4 c.c. Infatti, l’art. 1130 c.c. attribuisce all’amministratore il potere di porre in essere “gli atti conservativi alle parti in comune dell’edificio” e gli conferisce altresì il potere di rappresentare in giudizio il condominio contro un condomino o contro terzi nei limiti delle sue attribuzioni.

Per cui l’amministratore ha il potere, non solo di accertare le violazioni del regolamento condominiale tra cui le violazioni alle destinazioni d’uso, ma anche quello di agire direttamente in giudizio senza passare per l’assemblea condominiale.

Sul punto si è espressa la Cassazione con sentenza n. 1956 del 29 Gennaio 2014, laddove ha ritenuto legittima l’azione legale dell’amministratore posta in essere in assenza di specifica autorizzazione assembleare. Tale azione era stata esperita nei confronti del proprietario esclusivo che ha realizzato opere edilizie senza rispettare le distanze legali.

Questa pronunzia così evidenzia: “L’azione proposta dal condominio aveva la finalità di tutelare l’integrità della cosa comune così che essa andava qualificata tra gli atti conservativi che, a mente del combinato disposto degli artt. 1130, 1 comma n. 4 e 1131, 1 comma cod. civ., l’amministratore può porre in essere senza la previa autorizzazione dell’assemblea”.

Tale sentenza va anche oltre quanto espresso dalla Suprema Corte con la sentenza n. 16901/2012 con la quale si era stabilito che l’amministratore non aveva limiti in ordine alle azioni di natura reale relativa alle parti comuni dell’edificio, promosse contro il condominio da terzi o anche dal singolo condomino.

L’ultima giurisprudenza, pertanto, autorizza l’amministratore di condominio ad agire in prima persona sugli abusi edilizi perpetrati in condominio. Per cui è difficile per un amministratore nascondere la propria negligenza dietro l’inattività della volontà assembleare e sarà, ora, più difficile che un condomino riceva dall’amministratore la classica risposta “non posso farci nulla”.


Tratto dalla rubrica “Locazioni” de Il Condominio Nuovo. Per leggere molti altri interessanti articoli collegati a: shop.ilcondominionuovo.it e abbonati alla rivista.

 

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